l’albero che aveva paura di perder le foglie
C’era una volta un albero bellissimo. Era un acero giapponese che viveva nel cortile di un parco-giochi. Accanto a lui c’erano un tiglio, una betulla e tre pioppi. Mentre i bambini giocavano, le mamme riposavano al fresco delle loro fronde. Erano tutti alberi bellissimi, ma Acero di più.
Proprio per la sua bellezza splendente, un sacco di persone si fermavano ad ammirarlo e fotografarlo.
“Sono davvero un albero meraviglioso,” Diceva ogni giorno a Tiglio. “La mia bellezza allieta il mondo e grazie a me molte persone sono più felici.”
“E tu sei felice?” Gli domandò un giorno Betulla.
“Certo, la mia bellezza è fonte inesauribile di felicità.” Rispose mettendosi in posa per l’ennesimo scatto.
Un giorno arrivò Vento e soffiò con forza il suo alito gelido. Tiglio e Betulla rabbrividirono, i tre Pioppi si strinsero nelle foglie. Acero continuò a sorridere, troppo impegnato a farsi bello.
“È arrivato,” disse Tiglio.
“È ora di riposare…” sospirò Betulla.
“Ho un po’ paura, come sempre, ma non vedo l’ora!” Esclamò Pioppo.
E mentre conversavano, si rilassarono sempre di più, permettendo a Vento di rapire le loro foglie per danzarci insieme.
Giorno dopo giorno, Vento tornò a trovarli e frullando dolcemente tra le loro chiome, liberò le foglie e le fece volteggiare in mezzo al cielo. Quando si accorse di cosa stava succedendo, Acero inorridì. Dal suo tronco liscio e vellutato uscì un lamento straziante. “Lasciami stare!” Gridò a Vento, “Vattene via! Non osare toccarmi!”.
Vento continuò a soffiare, perché era nella sua natura, così Acero si irrigidì e, con tutta la forza che aveva, si aggrappò alle sue foglie, cercando di tenerle più strette possibile. I giorni passavano e la fatica di lottare contro Vento, cominciò a farsi sentire. Il tronco perse la naturale brillantezza e le foglie cominciarono a seccarsi, riempiendosi di rughe e macchie. Mentre Betulla diventava splendente con la sua chioma dorata e Tiglio poteva finalmente mettere in mostra la possenza dei suoi rami, Acero si fece sempre più triste e infelice.
“Non serve a niente lottare contro Vento.” Gli disse Betulla
“È come lottare contro Autunno: non ha senso.” Aggiunse Pioppo.
“Più ti opponi e più sei destinato a soffrire.” Disse Tiglio.
“Ma io non posso perdere le foglie!” Guaì Acero, “Io non voglio diventare vecchio! Nessuno più si fermerà ad ammirarmi.”
“Ma caro,” lo interruppe Betulla, “sarà solo per qualche mese. Tutto viene e va, in un circolo continuo, più resisti al cambiamento e più soffri. Vedrai che presto, se lasci andare, riavrai le tue foglie.”
“Stai zitta!” Le gridò contro. “Non voglio più parlare con voi, perché voi non siete belli come me, voi non mi capite!”.
Quando arrivò la prima neve, mentre Betulla, Tiglio e i tre Pioppi riposavano sereni, Acero, con le sue foglie secche ben strette addosso, piangeva disperato e spaventato. “Lasciami stare!” Continuava a sbraitare, anche se Vento era scomparso ormai da un pezzo e la neve attutiva il suo grido, facendolo sentire ancora più solo. Nessuno più si avvicinava per fotografarlo, perché con le sue foglie avvizzite e il tronco ormai rigido sembrava un albero morto.
“Ti prego, dammi qualcosa che mi faccia tornare bello come prima,” Supplicò l’uomo dei giardini che era arrivato un giorno a controllare il parco. “Qualsiasi cosa va bene, voglio solo avere indietro la mia bellezza…” Pianse, “Sono orribile, vecchio, inutile…”. L’uomo lo fissò pensieroso. Non gli era mai capitato di vedere un acero ancora tutto pieno di foglie a metà gennaio.
“Ti prego…” singhiozzò Acero, ma l’uomo non lo sentì e scrollando le spalle se ne andò.
Passarono i giorni e poi i mesi. Al primo timido sole, Betulla e Tiglio stiracchiarono i rami e sorrisero felici. Arrivarono gli uccellini e cantarono mentre ripulivano i nidi.
“Zitti!” Sbraitò Acero. “Ho un mal di testa terribile.”
Un uccellino si spinse fino a lui e lo fissò, “Ma sei vivo?” Domandò al colmo dello stupore.
“Certo che sono vivo, non lo vedi, stupido uccellino?”
“Sembri morto anche quando parli.”
“Tu non capisci niente. Sei brutto e stupido.”
“Mi dispiace molto per te,” Disse Tiglio con compassione, “la nostra vera ricchezza non risiede nel tronco e neppure nelle foglie, non ha nulla a che vedere con la nostra bellezza, i nostri fiori, o il profumo che emaniamo. L’unico prezioso tesoro che ci appartiene dalla nascita è il tempo. E tu l’hai sprecato miseramente, restando ancorato nelle tue illusioni del passato.”
“Non è vero!” Ribatté Acero, “Io ho solo cercato di restare bello e giovane, che male ci può mai essere in questo?”
“Il tempo passa e non torna più. Ogni istante, qualsiasi forma abbia, è prezioso e noi dobbiamo custodirlo, perché solo lì possiamo trovare la vera felicità.”
“Come possono la vecchiaia e la morte essere preziose?” Domandò Acero.
“C’era una volta un bruco che aveva una dannata paura di morire.” Cominciò a raccontare Tiglio. “Quando scomparve dietro l’ultimo lembo del suo bozzolo di seta, precipitò nella notte più buia della sua vita. Tremò e singhiozzò, convinto che la morte fosse giunta a chiamarlo. A un certo punto, però, uno spiraglio di luce lo risvegliò dall’incubo e lui si accorse di essersi trasformato in qualcosa di diverso. Si fece spazio con coraggio e sentì di nuovo il calore del sole sulla pelle . Aprì le ali e spiccò il volo. Era diventato una bellissima farfalla.”
“Cosa c’entra tutto questo con me?” Domandò Acero petulante.
“Non c’è morte senza rinascita, e non ci può essere rinascita senza morte.”
Le sue parole caddero come lame affilate sui rami di Acero e lo costrinsero ad alzare gli occhi e guardarsi attorno. Per la prima volta si rese conto degli alberi che lo circondavano. Fino ad allora li aveva visti, certo, ma soprattutto aveva visto sé stesso. La sua bellezza lo aveva offuscato, facendogli perdere il contatto con la realtà. Si accorse di quanta infelicità si fosse costruito attorno, quanta solitudine… Vide che i suoi amici avevano tenere gemme verdi e risplendevano nel sole, mentre lui… Lui arrancava pieno di disperazione, distrutto dallo sforzo immane con cui aveva cercato di trattenere ciò che andava lasciato. E per cosa poi? Per un pugno di foglie secche incapaci di portare vita.
Scoppiò a piangere disperato e solo allora capì cosa aveva fatto. Cercando in tutti i modi di restare fermo nel passato, aveva impedito alla vita di fluire in lui. Restando fermo a un’illusione di bellezza, aveva creato solo più sofferenza. Cercò di aprire i rami e lasciare andare, ma dopo aver a lungo trattenuto, scoprì di non essere più in grado di farlo. Non aveva solo paura, era proprio terrorizzato.
“Non è mai troppo tardi,” Gli disse dolcemente Betulla, “per lasciare andare ciò che non ci serve.”
“Non so come si fa,” piagnucolò, “Non ci riesco.”
Tiglio lo guardò pensieroso. “Non si fa.” Disse.
“Si è,” continuò Betulla. “Resta in pace, riposa qui e ora e piano piano vedrai che i tuoi rami cominceranno a lasciare andare da soli.”
“Mi stai dicendo che non devo fare nulla?” Domandò stupito.
“Proprio così, molla tutto, molla il controllo, il bisogno di fare, le aspettative…”
Acero fece un profondo sospiro e una foglia scivolò verso il prato. Betulla sorrise e lui sentì la clorofilla scorrere potente in lui. Sospirò di nuovo e altre foglie caddero. Acero all’improvviso si sentì come non si era mai sentito prima, Acero si sentì vivo…