5 pratiche per ritrovare la felicità

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5 PRATICHE PER RITROVARE LA FELICITÀ

Se sei convinto che per essere felice dovrai ottenere qualcosa o qualcuno, o essere diverso da quello che sei ora, in realtà ti stai allontanando ancora di più dalla felicità. Per essere felici, infatti, non dobbiamo aspettare che la sofferenza sia tutta finita. I presupposti sono già disponibili e più numerosi di quanto immaginiamo. Qui ti presento 5 pratiche che ti aiuteranno a riscoprirli e coltivarli.

La felicità si trova in un punto ben preciso, lo stesso in cui si trova la sofferenza: la nostra mente. Ogni esperienza che viviamo ha origine nella nostra mente, l’unica responsabile della nostra felicità o infelicità. Quando facciamo dipendere la nostra felicità dalle circostanze, o dagli altri, stiamo rinunciando alla possibilità di essere liberi e in quanto tali felici. Sebbene spesso attribuiamo le nostre sofferenze a eventi, o persone esterne, in realtà la sofferenza dipende solo da noi e ha a che fare con le modalità con cui reagiamo alla vita.

Per essere felici è necessario essere dei buoni agricoltori. Un buon agricoltore semina semi di ottima qualità e poi se ne prende cura con amore, difendendoli dalle infestanti, innaffiandoli e concimandoli al momento giusto. Sa che ogni seme ha i suoi tempi e che non può controllare in alcun modo la sua fioritura, ma ha fiducia nel processo e continua a svolgere il suo lavoro con attenzione e senza aspettative.

Puoi piantare semi di felicità in qualsiasi momento, ma poi devi prendertene cura perché la felicità, come ogni altra cosa, è passeggera, impermanente. Questa è la ragione per cui il Buddha stesso, nonostante avesse raggiunto l’illuminazione, continuò a sedersi a meditare. Nulla può sopravvivere senza mangiare e se non innaffi il tuo seme, esso non germoglierà. Per alimentare la tua felicità, puoi seguire le cinque pratiche che insegna Thich Nhat Hahn di cui ti parlo in questo articolo.

Lasciar andare

Il primo metodo per generare gioia e felicità è lasciare andare qualcosa. Spesso ci circondiamo di moltissime cose (o persone), convinti che ci porteranno sicurezza, soddisfazioni e felicità. Pensiamo che queste cose (o persone) siano necessarie alla nostra sopravvivenza, mentre il più delle volte rappresentano dei veri ostacoli alla nostra felicità. Vogliamo ottenere una promozione a lavoro, piacere a qualcuno, avere più soldi, più tempo, più salute, ma anche quando finalmente otteniamo queste cose, continuiamo comunque a soffrire. Vorremmo qualcosa di diverso e allo stesso tempo non vogliamo lasciare andare i nostri desideri perché siamo convinti che senza di loro saremo ancora più infelici.

Se invece riuscissimo a guardare con gentilezza tutti questi attaccamenti, scopriremmo che il più delle volte sono proprio questi che ci separano dalla felicità. Lasciare andare richiede un gran coraggio, ma una volta che l’hai fatto, la felicità arriva.

Un giorno il Buddha sedeva nel bosco insieme ai suoi monaci, quando vide arrivare un povero contadino con il fiato corto e i capelli spettinati. Il contadino si inchinò, poi domandò: «Avete per caso visto passare le mie mucche?»
Il Buddha scosse la testa. «Quali mucche?»
«Questa mattina, non so perché, le mie quattro mucche sono scappate. Ho anche piantato un ettaro di sesamo e gli insetti se lo sono mangiato tutto. Così ho perso insieme il raccolto e le mucche, mi viene voglia di ammazzarmi.»
«Mi dispiace – rispose il Buddha – noi non abbiamo visto nulla qui, forse devi provare nella direzione opposta.»
Quando il contadino se ne fu andato, il Buddha si rivolse ai suoi monaci e disse: «Vedete quanto siete fortunati? Voi non avete mucche da perdere!».

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Tutti noi abbiamo mucche da lasciar andare. Sono le idee troppo rigide e radicate di felicità che ci siamo costruiti e da cui non vogliamo assolutamente staccarci. Se imparassimo a lasciare andare queste mucche, quanta gioia ne ricaveremmo! Prendi dunque un foglio di carta e fai un elenco delle tue mucche, le cose che ritieni essenziali per il tuo benessere. Quante ne puoi lasciare andare oggi? Quante domani? Più ne lasci andare e più sarai felice!

Coltivare i semi positivi

Combattere e inveire contro le erbacce non serve a debellarle. Ciò che possiamo invece fare è smettere di dar loro nutrimento per concentrarci solo sulla parte buona del raccolto. Se coltiviamo i semi dell’amore, della compassione, della gioia e di tutte le qualità salutari che abbiamo dentro, poco alla volta le emozioni di natura opposta si affievoliranno fino a morire. Ciò non significa ignorare la nostra sofferenza, ma far in modo che i semi positivi già presenti in noi ottengano cura e accudimento.

Praticare la consapevolezza

La consapevolezza non ci mette in contatto solo con la sofferenza, per poterla abbracciare e poi trasformare, ma anche con la felicità che è già presente nella nostra vita. Quando sediamo e camminiamo in consapevolezza notiamo tutte le condizioni di felicità che sono già presenti e questo ci aiuta a lasciare andare la sofferenza.

A volte siamo troppo impegnati ad andare di fretta per accorgerci delle meraviglie che ci circondano. Quando rallentiamo e ci connettiamo con quello che stiamo facendo, il nostro cuore si apre e la felicità emerge come un germoglio che sbuca con forza dal terreno. Se portiamo consapevolezza nei nostri passi e nelle nostre azioni, ci sentiremo sazi e appagati e smetteremo di rincorrere la felicità perché potremo assaporarla in ogni nostra cellula. Praticare la presenza mentale ci aiuta a vivere a fondo ogni cosa che stiamo facendo e non sprecare la nostra vita.

Possiamo esercitare la consapevolezza mentre laviamo i piatti, o mentre camminiamo per strada, o quando pratichiamo la meditazione seduta. Quando c’è consapevolezza, c’è gioia e tutto è più leggero. La mente smette di provare desiderio o avversione e noi possiamo tirare un bel sospiro e goderci la bellezza che ci circonda.

Prendi un foglio e scrivi tutte le cose di cui puoi essere felice già ora. Quando riconoscerai tutti questi elementi, generare felicità sarà ancora più semplice.

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Praticare la concentrazione

La concentrazione nasce dalla pratica di presenza mentale, la differenza è che si ferma su un solo oggetto alla volta, come ad esempio il respiro. Quando c’è concentrazione, c’è anche una grandissima energia. Non ci lasciamo catturare dalla sofferenza del passato, né dalle ansie del futuro, ma restiamo ancorati al momento presente. Non ci deve essere sforzo nella concentrazione, ma morbidezza, gentilezza. Puoi sedere a occhi chiusi e appoggiare la tua mente sul tuo respiro finché la concentrazione sorgerà.

Praticare la visione profonda

Praticare la visione profonda significa vedere ciò che c’è. A volte sappiamo che qualcosa ci causa rabbia, oppure paura, ci fa perdere il sonno e agitare inquieti. Eppure, nonostante ne siamo consapevoli, vi restiamo attaccati, usando tutta la nostra energia per alimentare quella ossessione. Siamo come un pesce già catturato una volta che sa che dentro all’esca c’è l’amo eppure si ostina ad abboccare di nuovo. Quando invece sviluppiamo la visione profonda, ci allontaniamo dall’amo e nuotiamo verso acque più felici, consapevoli della bellezza che ci circonda.

Praticare la visione profonda significa anche riconoscere le sofferenze che abbiamo provato in passato e notare che oggi non ci affliggono più e quindi possiamo godere di ciò che siamo in questo momento in modo ancora più intenso.

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Spero che questi consigli ti siano stati utili. Se hai voglia di metterli in pratica, fammi sapere come è andata con un messaggio. Buona pratica!

Bibliografia:

Thich Nhat Hanh, Trasformare la sofferenza, l’arte di generare la felicità, Terra Nuova Edizioni, 2015

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