IL POTERE DEL RESPIRO, OVVERO COME ESSERE FELICI
Quando inspiri torni a te stesso, quando espiri rilasci ogni tensione (Thich Nhat Hanh)
Quante volte hai pensato al tuo respiro? Ti è mai capitato di percepirne l’immenso e ineguagliabile valore? Oppure lo hai dato per scontato finché non ti è venuto un raffreddore fortissimo? In questo momento in cui un virus aggressivo colpisce proprio le vie aeree e ci mette di fronte alla paura di non riuscire più a respirare, credo sia molto utile riconnetterci con il nostro prezioso inspiro e trovare pace e serenità in ogni espiro.
Il respiro è quello strano meccanismo che nella sua semplicità ci permette di vivere. Senza il respiro non ci sarebbe vita sulla terra perché anche le piante, i vegetali e gli animali, ognuno a suo modo, respirano. Nonostante la sua incredibile importanza, a meno che non soffriamo d’asma o di qualche malattia respiratoria, lo diamo per scontato. Per fortuna si tratta di un meccanismo involontario, che funziona anche quando siamo incoscienti e dormiamo, altrimenti rischieremmo di dimenticarci di respirare come il più delle volte ci dimentichiamo dell’importanza di ogni nostro inspiro.
Secondo le tradizioni antiche (e oggi anche secondo la scienza) è invece molto importante essere consapevoli del proprio respiro. Grazie a questa attenzione, infatti, è possibile produrre cambiamenti molto profondi a livello mentale, emotivo e fisico che inducono stati di benessere e serenità.
I MIEI PRIMI RESPIRI CONSAPEVOLI IN ETÀ ADULTA
Vorrei ora raccontarvi la mia esperienza con i miei primi respiri consapevoli, partendo dal fatto che essendo figlia di un’insegnante di yoga avevo giurato a me stessa che non avrei mai avuto a che fare con meditazione, yoga e robe del genere. Un po’ per ribellione giovanile, un po’ perché volevo trovare la mia strada da sola, mi sono tenuta a distanza per anni, sfogando la mia innata energia nel Karate e nella corsa. Mio malgrado, la mia anima ha risentito dei discorsi filosofici che facevamo a tavola (no, non avevamo la TV e i cellulari non erano ancora stati inventati!) e dei predicozzi orientaleggianti di mia madre sull’ascolto interiore.
Mentre gli altri bambini crescevano sulle note dei Puffi e di Kiss me Licia, io ricevevo la mia dose quotidiana di: «Senti il tuo respiro nel torace? E nel ventre? E nel collo? E nelle braccia? E nelle gambe?». Adesso sfido chiunque di voi a sentire il respiro nelle gambe, ma per mia madre era del tutto naturale, patologico il contrario. E a me che ero un’anima inquieta e ribelle, chiedeva di sdraiarmi su un tappetino ad ascoltarmi dentro, lasciare andare e percepire se c’erano cambiamenti nella qualità delle sensazioni fisiche che provavo. Capite il trauma?
Siccome però la vita oltre a essere imprevedibile è pure beffarda, sono diventata insegnante di yoga e di meditazione e passo il giorno a parlare di quelle cose lì. Ma prima di diventare tutto questo, c’è stata una grande crisi e il maestro che ha bussato alla mia porta (un giorno vi racconto la storia se vi va) e mi ha invitato a smetterla di perdere tempo e cominciare a guardare le cose giuste. Per esempio, il mio respiro.
Il suddetto maestro ha bussato alla mia porta perché avevo cominciato a farmi molte domande piuttosto complicate e non riuscendo a trovare una risposta, avevo deciso di provare a meditare. Visto che nemmeno con la meditazione avevo ottenuto i risultati desiderati, mi ero seduta in silenzio e avevo pregato perché mi fosse mandato un maestro. Quando infine il maestro arrivò, dunque, avevo già sentito parlare della meditazione, avevo provato a praticarla, ma soprattutto morivo di voglia di sviluppare qualche super potere (se leggete Autobiografia di uno yogi capirete perché).
Nonostante la mia eccitazione e impazienza, però, la risposta che ricevevo era sempre la stessa: «Osserva il tuo respiro.». Capite la frustrazione? Io volevo sapere perché mi trovavo sulla terra, quale fosse il mio scopo, come fare a smetterla di soffrire, perché non riuscivo a essere felice, quali fossero i super poteri che avrei potuto raggiungere, ma il maestro, con grande tranquillità mi rispondeva sempre la stessa cosa. Il respiro. Questo all’inizio mi trasformò in una donna frustrata e inquieta, ma un giorno realizzò uno strano miracolo dentro di me che mi cambiò la vita.
Oggi, dopo anni che siedo e osservo il respiro, posso finalmente dire che è vero ciò che dice Thich Nhat Hahn: ispirando torno a me stessa ed espirando rilascio ogni tensione. E questa io la chiamo felicità.
PERCHÉ IL RESPIRO È COSÌ IMPORTANTE?
Il respiro non solo ci mantiene in vita ma è anche un ottimo indicatore del nostro stato d’animo. A un respiro corto, poco profondo, affannoso corrispondono ansia, agitazione, preoccupazione; mentre a un respiro profondo corrispondono serenità, pace, centratura. Osservando la qualità del tuo respiro, puoi comprendere la qualità delle tue emozioni. Quando il respiro si blocca, di solito c’è un forte spavento, o una grande tensione.
Agendo sul respiro, ad esempio rendendolo più profondo e regolare, puoi agire sulle tue emozioni e quindi sulla tua capacità di gestire il problema che stai affrontando.
Il respiro ci permette di tornare a noi stessi, prendendoci una pausa da tutto ciò che ci circonda e questo favorisce maggiore concentrazione e presenza, che può tornarci utile nell’affrontare le situazioni più complicate.
Spostando l’attenzione sul nostro respiro, interrompiamo il processo di identificazione con ciò che stiamo vivendo che è alla base della nostra sofferenza. Quando ad esempio abbiamo paura, siamo totalmente identificati con la paura e la nostra mente si restringe a tal punto da pensare che non ci sia altro che paura e che la situazione non sia in alcun modo gestibile. Manda quindi un impulso ben preciso al nostro corpo, che subito risponde preparandosi all’attacco, alla fuga, oppure al congelamento. Questo comporta un aumento del battito cardiaco, sudorazione, tensione in tutto il corpo, respirazione affannosa. In queste condizioni di identificazione con l’emozione che stiamo vivendo, noi non siamo liberi. Siamo dei semplici burattini che re-agiscono all’evento e si lasciano dominare dallo stato d’animo che ci attraversa in quel momento. La re-azione, di qualunque tipo sia, porta sofferenza e impedisce di essere lucidi e prendere le decisioni più opportune.
Tornando al respiro, ci liberiamo dalla presa di quell’emozione e riusciamo a vedere la realtà per quella che è: un flusso continuo in cui le emozioni vanno e vengono, i pensieri vanno e vengono, le situazioni vanno e vengono. Tutto è impermanente e sebbene in quel momento stiamo provando quella paura e quella rabbia, esse non rappresentano la nostra vera natura. Noi siamo altro.
Il respiro ci riporta al presente perché questo è l’unico momento in cui possiamo respirare. Ovunque siamo e in qualsiasi situazione, il respiro ci riconnette con la preziosa unicità del momento presente. L’unico momento della nostra vita in cui possiamo essere felici. Se siamo presenti, abbiamo potere di scelta, viceversa ci lasciamo vivere e trascinare da una circostanza all’altra senza riuscire mai a partecipare attivamente alla nostra vita. Quando siamo liberi di scegliere, riusciamo anche a godere delle nostre giornate, viceversa ci sentiamo perennemente insoddisfatti di ciò che siamo, o abbiamo.
Quando portiamo la nostra attenzione sul respiro, la nostra mente interrompe per qualche istante il flusso costante di pensieri e questo produce un immediato rilassamento anche a livello fisico.
LA MEDITAZIONE DI CONCENTRAZIONE SUL RESPIRO
È sicuramente una delle pratiche più antiche della terra, se non forse la più antica, perché il respiro è l’oggetto di concentrazione più semplice, interessante e popolare che esista. Ricchi e poveri, famosi e ignoti, felici e infelici, realizzati e irrealizzati, bianchi e neri: tutti respiriamo!
Nella pratica di concentrazione sul respiro (Śamatha) portiamo la nostra mente a riposare sul respiro in precise zone del corpo. Lo facciamo senza alterare volontariamente il ritmo del respiro, né emettere alcun giudizio. Se il respiro è corto e affannoso, lo osserviamo accettandolo così com’è. Questa quieta osservazione, tuttavia, non è passiva. Necessita infatti di un forte grado di concentrazione mentale che restringa sempre più l’attenzione della nostra mente fino a permetterle di vedere solo il respiro e più oltre, di sentirlo. Si sentiranno allora le sensazioni fisiche legate a questo movimento e si noteranno le eventuali pause che si creano tra l’inspiro e l’espiro, o tra l’espiro e l’inspiro, oltre a diventare consapevoli della durata di ogni ispiro e di quella di ogni espiro. Si arriverà anche a indagare la qualità di ogni singolo respiro, così diverso dal precedente e dal successivo.
Ci sono diversi stadi di concentrazione e molti ottenimenti che si possono raggiungere tramite questa pratica ma, per quanto affascinanti, non è mia intenzione qui scendere nel dettaglio. La cosa più importante è sicuramente sapere che la concentrazione sul respiro ci aiuta a lasciare andare la sofferenza.
Possiamo scegliere tra due punti diversi per connetterci al nostro respiro: addome, o narici. Se lo seguiamo nell’addome, presteremo attenzione al movimento (e a tutte le sensazioni fisiche che genera) del ventre che si espande e si ritrae, mentre se lo seguiamo alla base delle narici faremo attenzione all’aria che entra (più fresca) e che esce (più calda).
La mente tenderà a distrarsi. È nella sua natura e non serve a nulla lottare contro questa sua tendenza, o provare avversione. Più lottiamo contro il pensiero e più lo fortifichiamo. Ciò che possiamo fare è accettare che la mente è nata per pensare e per molti anni del nostro passato non ha fatto altro. La mente è un muscolo e in quanto tale va allenato. Non basta una sessione e nemmeno dieci per insegnarle a lasciare la presa. Piuttosto che lottare contro i pensieri, possiamo concentrarci sui brevi attimi di silenzio tra un pensiero e l’altro, cercando di espanderli sempre di più.
Ci sono vari metodi per entrare in concentrazione e qui voglio presentarvene tre:
- Conteggio:
Contare ogni respiro fino ad arrivare a 10 respiri, ripartendo dall’1 ogni volta in cui ci si distrae. Arrivati al 10 si può ricominciare dall’1. - Utilizzo di mantra:
Esistono molti mantra che si possono usare per distrarre la mente dai pensieri e portarla in concentrazione. In questo caso il mantra scelto dovrebbe essere composto di due parole, una per l’inspiro e una per l’espiro. Molto utilizzato è il mantra Hong So, insegnato da Yogananda. Si tratta di un bija (seme) mantra il cui significato è “Io sono Quello”, dove Quello sta per Spirito. Si può utilizzare anche So Ham, che ha lo stesso significato.
È infine possibile crearsi il proprio mantra, con le parole che maggiormente possano aiutarci a entrare in concentrazione. Per esempio potremmo ripetere semplicemente “inspiro, espiro”, o abbreviare “in, es”. O ancora seguire le indicazioni di Thich Nhat Hahn e ripetere “pace” a ogni ispiro e “amore” a ogni espiro. - Etichettatura:
Questa tecnica è usata soprattutto nella vipassana, ma personalmente la trovo molto utile anche per la concentrazione sul respiro, soprattutto all’inizio. Si tratta di individuare i pensieri che sorgono e dar loro un’etichetta mentale (pensiero, noia, fastidio, avversione, paura…) per poi tornare al respiro.
Spero che questo breve articolo ti sia stato utile. Se vuoi praticare a casa, ti consiglio di scaricare qui la traccia audio gratuita che ti potrà aiutare a entrare in concentrazione sul respiro. Buona pratica!
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