QUARANTENA E FELICITÀ INTERIORE

meditazione

quarantena e felicità interiore

La solitudine in certi casi può essere devastante. Accade quando non riusciamo ad accettarla e cerchiamo in tutti i modi di raggiungere una soluzione che ci faccia stare meglio. Allora di solito succede proprio il contrario: quel bisogno di trovare una soluzione ci fa stare ancora peggio. Trasformare il disagio della solitudine e dell’isolamento in un’esperienza che ci insegni come uscire dalla sofferenza è possibile. Te ne parlo in questo articolo.

PERCHÉ È COSÌ IMPEGNATIVA QUESTA QUARANTENA?

Perché ci ha messi difronte alla solitudine, al silenzio e all’impossibilità di uscire. Per un monaco questa è normale routine quotidiana ma per noi, abituati ad affogare ogni minimo senso di disagio nell’azione, nelle relazioni e nel possesso, questa situazione può davvero trasformarsi in un’esperienza traumatica.

Quando ci sentiamo soli, separati, quello che vogliamo fare è muoverci a destra e a sinistra alla ricerca di cose da fare, o persone con cui stare. Qualsiasi stimolo andrebbe bene, pur di spegnere quel dolore sordo che porta a galla la solitudine. La nostra mente si ribella alla situazione in cui si trova e va in astinenza. Astinenza di relazioni, contatti, viaggi, parole e azioni che potrebbero in qualche modo affogare il nostro dolore interiore, facendoci illudere di aver ritrovato l’equilibrio e la serenità.

Le nostre paure non hanno nulla a che vedere con la solitudine o l’isolamento. Le nostre paure sono radicate ai nodi psichici e fisici che ci portiamo dietro dalla nascita. Qualsiasi emozione non vista e non accettata si trasforma in un nodo che rimane silenziosamente legato al nostro corpo finché un evento esterno non lo risveglia. In questo particolare periodo storico, i nostri nodi sono stati messi a durissima prova da una serie di circostanze esterne piuttosto forti. Siamo stati invitati a non vedere più i nostri cari (a parte quelli con cui viviamo), gli amici, i colleghi… Ci è stato chiesto di non uscire più di casa se non per necessità urgenti. Siamo stati lasciati nell’incertezza di ciò che accadrà nel nostro futuro: quando finirà tutto questo? Riusciremo a uscirne? Come ne usciremo? In molti casi non possiamo più svolgere il nostro lavoro e questo ha avvicinato sensibilmente lo spettro della possibilità di non riuscire a pagare l’affitto o il mutuo. Ci è stato chiesto di non mandare più i bambini a scuola e di non farli più uscire, costringendoci a vivere i loro malumori e la nostra sfinitezza.

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Potrei continuare così per tutta la pagina, perché in realtà questa quarantena ha completamente stravolto la nostra routine e ci ha messi davanti a noi stessi e alle nostre paure come nessun evento prima (parlo dal punto di vista di una persona privilegiata come me che non ha mai conosciuto una guerra, un esodo, o la fame). E tuttavia scelgo di fermarmi qui, perché ognuno di noi sta vivendo la sua personale quarantena e può compilare molto meglio di me la sua lista di disagi. Ciò che invece mi interessa, è cercare di fare luce sui meccanismi mentali che ci portano a soffrire così tanto questa situazione.

Il primo grande “nemico” (dal punto di vista della mente) è il silenzio. Nel silenzio della solitudine le nostre paure si amplificano e così i nostri dolori e desideri. Se al silenzio uniamo l’impossibilità di uscire e andare a cercare conforto in oggetti, eventi, persone, viaggi e qualsiasi altro tipo di stimolo esterno, la sofferenza si fa ancora più profonda. Tutto il nervosismo che abbiamo cercato di evitare negli anni andando a destra e a sinistra, facendo cose e incontrando persone, all’improvviso emerge tutto insieme. La mente si ribella alla situazione di immobilità perché ha paura di essere smascherata, non si sente sicura, ma soprattutto perché non può più controllare quel disagio affogandolo e nascondendolo sotto a strati di stimoli diversi.

Eppure, se ci guardiamo alle spalle, saremo ben consci del fatto che andare a destra e a sinistra non ci ha mai portato alla felicità. Ci siamo affannati per anni a cercare la sicurezza in lavori, relazioni, oggetti e situazioni ma ora siamo ben consci che la gioia che ne abbiamo tratta è stata solo momentanea. Un po’ come quando sediamo a meditare e ci fa malissimo un ginocchio, allora ci spostiamo e con un sospiro godiamo per qualche istante del sollievo, salvo accorgerci pochi minuti più tardi che vogliamo di nuovo cambiare posizione perché un nuovo dolore è sorto.

Questa è un po’ la metafora di una vita umana non illuminata: continuare a spostarsi scappando dalle sensazioni spiacevoli e correndo verso quelle piacevoli senza mai raggiungere una soddisfazione duratura. Ciò che cerchiamo è una soluzione quando in realtà ci meritiamo qualcosa di molto meglio. Ci meritiamo di lasciare andare il bisogno di trovare una soluzione per godere di quello che già abbiamo, perché è proprio quel bisogno a portare la sofferenza nelle nostre vite.

può la quarantena riconnetterci alla felicità?

Parliamo spesso di dolore e sofferenza e di come uscirne, ma poche volte ricordiamo quanto coraggio richieda questa azione. Può sembrare assurdo, ma la nostra mente molte volte anela alla sua sofferenza come un alcolizzato a una goccia di vino. Per quanto soffrire sia un’esperienza che non augureremmo a nessuno, in realtà ha anche alcuni aspetti positivi. Nella sofferenza noi restiamo bloccati dove siamo e non ci dobbiamo dare da fare per cambiare in alcun modo. Per quanto brutta, conosciamo la nostra sofferenza nei minimi particolari e questo ci fa sentire protetti e sicuri. Sappiamo cosa aspettarci e ci possiamo permettere di restare passivi usando le nostre energie solo per lamentarci.

Uscire dalla sofferenza significa uscire dalla nostra zona di comfort, dalle abitudini che per quanto dannose e pesanti ci fanno sentire al sicuro, dall’inattività. È necessario molto coraggio per cambiare prospettiva, per decidere di fare il primo passo, per abbandonare comportamenti inconsci che ci portiamo dietro da decenni, ma soprattutto per smetterla di scappare a destra e sinistra e cominciare a guardare in faccia i nodi che ci fanno tanto soffrire. Di solito non vogliamo sederci e provare ciò che stiamo provando. Non vogliamo passare dal processo di disintossicazione. Eppure l’unica soluzione che abbiamo è proprio questa: risvegliare il nostro coraggio e restare lì, con quello che c’è. La migliore esercitazione in questo senso ce la fornisce la meditazione che ci incoraggia ad accogliere tutto ciò che sorge senza nulla trattenere.

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La meditazione ci aiuta a risvegliare il coraggio che è in ognuno di noi, nessuno escluso. Ci chiede di sederci e guardare in faccia ciò che emerge resistendo al tentativo di giudicarlo, allontanarlo o trattenerlo. Meditare significa smettere di lottare e riscoprire uno stato di benessere nell’osservazione imparziale di ciò che sorge.

Devo essere molto onesta: questa è un’esperienza dura. La maggior parte di noi vorrà trovare una soluzione alla noia, al disagio, all’ansia e al dolore. Siamo programmati per lottare, per ottenere ciò che vogliamo, per giudicare tutto ciò che non ci piace, per fuggire dalle esperienze che ci fanno soffrire. Se qualcuno ci lascia, non vogliamo vedere, tanto meno stare con quella ferita. Pur di non sentire quel dolore ci trasformiamo in vittima, oppure ci scagliamo con rabbia contro chi riteniamo responsabile di questo nostro stato. E poi fuggiamo da quella solitudine e da quella sofferenza cercando subito conforto in qualcun altro. La solitudine diventa il nostro nemico.

Se invece riuscissimo a riposare in quello stato, a lasciare andare il bisogno di reagire come vittime o carnefici, potremmo trasformare la solitudine in un’esperienza di quiete, capace di modificare i nostri schemi mentali e abbattere le nostre paure più profonde. Esistono sei tipi di solitudine feconda e molto positiva che interrompono il nostro vagare alla ricerca di soddisfazione e sicurezza per mostrarci che esse sono già presenti dentro di noi. Eccoli.

 6 spunti per trasformare la solitudine in pace

 Solitudine senza desiderio di soluzioni

Per trasformare la nostra solitudine in cammino verso la felicità per prima cosa possiamo imparare a stare soli senza cercare soluzioni, resistendo all’impulso di cercare qualcosa che migliori il nostro umore. Nella meditazione si traduce nella capacità di riconoscere i pensieri che sorgono ed evitare di lasciarsi portare in giro all’infinito. Possiamo esercitarci a essere qui, senza desiderare di essere da qualche altra parte. Anche se all’inizio è molto difficile, se perseveriamo, con il tempo qualcosa cambia. Proviamo meno desiderio e ci facciamo sedurre meno dalle storie della nostra mente. La solitudine dolorosa è lì ma per qualche secondo riusciamo a stare seduti con questa irrequietezza che ci crea. Meno ci agitiamo, più assaporiamo la soddisfazione.

Solitudine appagata

Il secondo passo è quello di stare nella solitudine sentendoci appagati. A ben vedere, se non abbiamo niente, non abbiamo niente da perdere ma ciò nonostante  la nostra mente è programmata per pensare in continuo alla perdita. Dietro alla sensazione di avere molto da perdere c’è la paura: paura della solitudine, del cambiamento, della morte, di tutto ciò che non si può risolvere. Per raggiungere questo appagamento dobbiamo rinunciare all’idea che fuggire dalla solitudine possa portarci felicità, benessere e gioia permanente. Dobbiamo essere molto onesti e continuare a riportare la mente sul fatto che solo accettare di essere soli senza alternative ci può portare a uno stato di benessere. Tutto ciò a cui aneliamo, infatti, una volta raggiunto, ci lascia un vuoto più profondo ancora del precedente.

Solitudine senza attività inutili

Il terzo passo è quello di stare soli senza gettarci nelle attività più disperate. Quando ci sentiamo a disagio, cerchiamo qualcosa da fare per mettere a tacere il nostro dolore e questo si trasforma in un’attività inutile. Possiamo sognare a occhi aperti, programmare il futuro, smontare la casa, viaggiare, leggere, fare aperitivi… Tutte queste attività hanno il solo fine di allontanare da noi il demone della solitudine. Il maestro giapponese Ryokan dice: “Se vuoi trovare il significato, smetti di inseguire così tante cose.”. Anziché reagire in questo modo, possiamo provare un po’ più rispetto verso noi stessi e smetterla di evitare di restare soli con noi stessi. Possiamo portare compassione verso le nostre paure e difficoltà, verso il nostro bisogno di fuggire da noi.

solitudine disciplinata

È la capacità di tornare al momento presente con una disciplina ferrea ogni volta in cui la mente tende a vagare verso il passato e il futuro. Decidiamo di stare seduti immobili e di essere soli così come siamo, senza aggrapparci a cose, pensieri o persone. Questo ci permette di vedere le cose con molta più chiarezza. Pensiamo di sapere già tutto, ma in realtà sappiamo molto poco. Abbiamo un sacco di idee e preconcetti che ci portano a percepire il mondo in modo distorto. E da questa distorsione ha origine la nostra sofferenza. Lasciare andare i nostri schemi mentali ci permette di essere più liberi e quindi più felici. Per farlo, dobbiamo dimorare nel presente.

solitudine senza desiderio di persone, cibo, bevande

Possiamo provare a stare soli senza  affogare questo dolore nel cibo, nell’alcol, nelle dipendenze (anche emotive). La solitudine non è un problema. Non è una cosa da risolvere. Se entriamo nel mondo del desiderio, saremo destinati a soffrire senza esclusione alcuna. Il desiderio non appaga mai, fa solo nascere ulteriore desiderio. Solo resistendo all’impulso di aggiustare la nostra solitudine, potremo liberarci da queste catene.

solitudine senza il conforto dei pensieri

L’ultimo passo è stare soli evitando di consolarci con i nostri pensieri anche quando, tolti tutti gli stimoli, vorremmo evadere con la mente. I pensieri non hanno alcuna realtà obbiettiva, sono trasparenti e non afferrabili. Rinunciamo al desiderio di essere diversi da quello che siamo, o che gli altri lo siano e stiamo semplicemente con noi stessi, osservandoci obiettivamente.

Quando riusciamo a stare nella solitudine e nell’inattività con queste sei predisposizioni d’animo, allora siamo sulla via del guerriero che cammina verso la fine della sofferenza. Questa via, dura e faticosa, ci dà la possibilità di trasformare la nostra quarantena in un’occasione d’oro. Ci insegna a trasformare la nostra ansia, tristezza e il nostro sconforto in uno spazio infinito di riposo e benessere. Dimorare nella quiete significa proprio questo. E questa è la via per uscire dalla sofferenza. Questa è la via per vivere a favore e non contro la nostra vita. L’unica via che ci permette di uscirne realmente appagati e soddisfatti nel profondo. Qualsiasi situazione stiamo vivendo.

Spero che questi consigli ti siano stati utili. Se hai voglia di metterli in pratica, fammi sapere come è andata con un messaggio. Buona quarantena!

Bibliografia:

Pema Chödron, Se il mondo ti crolla addosso, consigli dal cuore per i tempi difficili, Feltrinelli, 2017

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Buona pratica!