DALLA NON-AZIONE ALL’AZIONE PURA: INSEGNAMENTI INASPETTATI DALLA QUARANTENA

rabbia

DALLA NON-AZIONE ALL’AZIONE PURA: INSEGNAMENTI INAsPETTATI DALLA QUARANTENA

Questa quarantena ha stravolto i ritmi e le abitudini della maggior parte di noi. È arrivata all’improvviso e ci ha costretti in casa, lontani dai nostri cari, con la paura di vedere morire le persone care. È arrivata con un monito ben preciso: ora non sei più libero di fare tutto ciò che desideri fare. E questo monito ha causato avversione, paura, incertezza. Se anche tu ti ci ritrovi, forse questo articolo può aiutarti a guardare più a fondo i meccanismi per cui questa situazione è così difficile, traendone un prezioso insegnamento…

NON-AZIONE DA QUARANTENA

Ognuno vive la pandemia a suo modo. C’è chi è forte e sano, vive in mezzo alla natura, ha un grande giardino e non teme la solitudine. Per queste persone la quarantena non è un peso, ma un’opportunità. Di creare silenzio, dilatare gli spazi, trovare risposte a lungo cercate. C’è chi invece vive in un monolocale di una grande città esposto a nord e privo di balconi e non ama il silenzio, tanto meno la solitudine. Per queste persone la quarantena è un incubo, da cui cercano di risvegliarsi tutti i giorni per scoprire che non c’è via d’uscita. C’è chi ha figli e un lavoro da portare avanti da casa, chi ha dovuto chiudere la propria attività e deve attendere inerme, chi si è ammalato, chi fa il medico, chi lavora in un supermercato e chi deve aspettare che qualche buon cuore gli porti la spesa a casa…

La quarantena insomma, non ha messo tutti nella stessa situazione di non-azione, perché alcune persone sono molto più impegnate di prima, ma sicuramente ha messo tutti di fronte a un nuovo concetto di non-azione: non poter fare ciò che si desidera. Non importa se siamo ricchi come Chiara Ferragni, o poveri come profughi siriani: tutti noi siamo costretti a non uscire di casa e a rispettare certe regole. Non possiamo più andare a trovare i nostri cari, uscire per andare a fare una passeggiata, fare shopping, andare al mare, al ristorante, in biblioteca…

Non poter fare ciò che desideriamo, a meno che non siamo monaci zen, ci crea molta frustrazione. A vari livelli e con differenti intensità. Ci provoca rabbia, disperazione, stanchezza, sfinimento perché sin dalla nascita, noi siamo programmati per esercitare il controllo su ogni cosa. Il non poter decidere cosa e come farlo, ci fa soffrire. E per moltissime persone che come me hanno avuto il privilegio di non passare attraverso una guerra o un esodo, questa è la prima volta in cui un evento esterno si frappone tra il nostro desiderio di controllo e la possibilità effettiva di agirlo. Ci sentiamo imprigionati interiormente, impossibilitati a continuare la nostra corsa frenetica verso il piacere, avviliti e frustrati come dei bambini a cui sia appena stato tolto un gelato di mano.

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L’EGO E LA SUA PAURA PRIMARIA

Tutti noi, con modalità diverse, vogliamo avere un controllo sul nostro futuro, pianificandolo nei minimi dettagli. Desideriamo controllare gli esiti delle nostre azioni, le risposte che gli altri ci daranno, gli eventi della nostra vita. Ancora più in profondità, vogliamo controllare le nostre emozioni e il nostro corpo, spingendolo ad andare oltre i suoi limiti. Controlliamo gli altri, in modo sottile e non sempre consapevole e pretendiamo di controllare il tempo, cercando di sfuggire malattia, vecchiaia e morte.

Il controllo è il nostro pane quotidiano ma non sempre ne siamo consapevoli. La maggior parte delle volte lo facciamo in modo inconscio e quando la vita non risponde secondo le nostre aspettative, puntiamo i piedi disperati. In noi sorge rabbia, sconforto, agitazione.

In realtà, il controllo è il pane quotidiano solo di una parte di noi: l’ego. L’ego si sente in posizione di potere solo quando può esercitare il controllo. Purtroppo non si tratta di un buon padrone, ma di un tiranno che ci frusta senza pietà per correre come criceti nell’angoscioso tentativo di sfuggire al dolore. Il dolore primario, che sta sotto l’ansia di controllo, è la paura della morte.

Abbiamo tutti paura di morire, è questa la vera ragione per cui ci lasciamo dominare dal nostro ego tirannico. Per questo motivo continuiamo a correre a destra e sinistra cercando di sfuggire da ciò che non ci piace e andare verso ciò che ci piace. Ogni nostro tentativo di controllo è il tentativo di raggiungere il piacere pieno, eterno e immutabile.

Ora fermati un attimo, smetti di leggere e chiudi gli occhi. Fai un respiro profondo, poi lascia che il tuo respiro torni al suo ritmo regolare e domandati: “posso veramente controllare la mia vita? Posso controllare il mio corpo, le emozioni, gli eventi, il futuro, le risposte degli altri? Sono veramente convinto che se continuo a correre così tanto dietro al piacere riuscirò a raggiungere uno stato di felicità appagante e duratura?”

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Se hai guardato molto a fondo dentro di te, avrai visto che la risposta è no, non puoi controllare proprio niente, nemmeno la cosa a te più vicina e che dovresti conoscere meglio in assoluto: il tuo corpo. E no, non potrai mai raggiungere una felicità appagante ed eterna perché la felicità è un’onda che va e che viene.

Il controllo è solo un’illusione, uno scherzo del nostro ego che ci istiga a fuggire dalla morte. L’ego teme la morte perché in fondo sa che su di essa non ha alcun controllo. E questa sua paura ha origine da un’altra illusione, quella di essere separato da tutto il resto e che la morte rappresenti una fine piuttosto che un semplice giro di giostra.

Questa quarantena, quindi, mettendoci nella condizione di non poter fare ciò che desideriamo, ci ha messi di fronte ai tre veleni che il buddismo considera responsabili della nostra sofferenza: avversione, attaccamento e illusione (o ignoranza). Essere preda di questi stati mentali ci porta a correre di qui e di lì nel tentativo di rincorrere il piacere e fuggire dal dispiacere senza mai trovare pace.

LA VIA D’USCITA È NELLA NON-AZIONE

Sedendo e osservando questi movimenti del mio ego, mi sono resa conto che l’unica via d’uscita che abbiamo dalla sofferenza di questa quarantena (e della vita in generale) è quella di andare incontro a un nuovo tipo di azione. Possiamo farlo sia attraverso la pratica meditativa, che nella vita di tutti i giorni.

Sedendo in meditazione, possiamo entrare in una non-azione, che non è originata da un’imposizione esterna ma dall’esigenza interiore di porre fine alla nostra sofferenza. Nell’inazione (arrestando il movimento del corpo e cercando di arrestare quello della mente) ci renderemo allora conto di quanta azione è presente dentro di noi: l’azione del corpo, che continua a funzionare al di là del nostro controllo e della nostra volontà, ma soprattutto della mente, che gira come una trottola impazzita da un pensiero all’altro.

Potremo lasciare emergere le nostre reali inclinazioni e famigliarizzare coi meccanismi della nostra mente che ci fanno soffrire. Ci accorgeremo allora che se riusciamo a raggiungere un elevato grado di libertà da questi meccanismi, nessuna condizione esterna avrà più potere su di noi. Se ci liberiamo dal gioco asfissiante del nostro ego e dal suo desiderio di controllo, potremo sentirci liberi anche in un carcere di massima sicurezza.

consapevolezza

La non-azione della pratica meditativa può aiutarci a entrare nel campo della non reazione, perché quasi tutte le nostre azioni sono in realtà re-azioni e questo è il motivo per cui soffriamo e ci sentiamo sempre insoddisfatti. Meditando ci accorgiamo in modo chiaro di come la nostra mente reagisca a ogni evento esterno: ci fa male il ginocchio e ci spostiamo, abbiamo un prurito e ci grattiamo, ci viene in mente un dialogo che abbiamo avuto con qualcuno e ci infiammiamo di rabbia, la campana non suona e ci disperiamo… Chiaramente non decidiamo noi di avere queste reazioni perché sappiamo benissimo che ci fanno soffrire e se potessimo faremmo a meno di ricordarci eventi traumatici, di pensare a tutte le cose che non abbiamo fatto, o di provare male a un ginocchio o in qualche altra parte del corpo. La non reazione parte prima di tutto dalla conoscenza, dal sapere che siamo tutti governati da azioni automatiche e inconsce e in secondo luogo dall’allenamento. Si tratta di allenare la nostra consapevolezza a tornare nel presente, perché quando siamo nel presente, usciamo dalla re-azione ed entriamo nel campo dell’azione.

Una delle tre vie dello yoga per l’illuminazione (di cui ti parlerò meglio in un altro articolo) è il karma yoga. Se seguiamo il karma yoga possiamo raggiungere la liberazione dalla sofferenza anche senza bisogno di isolarci o diventare asceti. I presupposti però, pur essendo molto semplici, prevedono lo sviluppo costante e consapevole di un’attitudine mentale che non ci è propria e che quindi spesso ci dimentichiamo di contattare.

Per praticare il karma yoga non solo dobbiamo essere presenti a ciò che facciamo (quindi essere nel qui e ora), ma dobbiamo anche compiere l’azione con distacco, perseguendo il nostro dovere universale (Dharma) senza provare desiderio o avversione verso i frutti della nostra azione. In questo modo la nostra azione non produce karma perché non siamo noi che agiamo, ma l’energia pura e divina attraverso di noi.

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 compiti a casa

Se vuoi anche tu trasformare questa quarantena in occasione di crescita per cambiare la tua vita, puoi cominciare a osservare la tua mente un po’ più da vicino, meditando ogni giorno almeno per una quindicina di minuti. Trovi tante tracce guidate che metto a disposizione gratuitamente qui, ma forse le due più adatte a questo scopo sono la concentrazione sul respiro e la vipassana.

Insieme alla pratica formale, puoi cominciare a tenere d’occhio la tua mente anche durante il giorno, per vedere se è in modalità reattiva e controllante, o se è nell’azione pura, nel presente. Già il semplice osservarlo è un ottimo allenamento per condurla fuori dal ciclo della sofferenza.

Buona pratica.

Spero che questo articolo ti sia stato utile e ti ringrazio per l’attenzione che hai voluto dedicargli.

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