AMORE O ATTACCAMENTO?

mindfulness milano

AMORE O ATTACCAMENTO?

Se osservi le tue relazioni cosa vedi? Hai desiderio di controllo sugli altri? Hai speranze o paure? Tendi a vedere la persona con cui vivi, o ne vedi solo un’immagine? Hai desiderio di trattenere e possedere la persona con cui stai? Pretendi che sia in un certo modo e ti lamenti perché non lo è? Se hai risposto sì a una o più di queste domande, ciò che stai vivendo si chiama attaccamento e non amore. In questo articolo ti spiego la differenza tra i due e per quale motivo quando c’è attaccamento, le relazioni sono destinate a vacillare o comunque a provocare sofferenza.

COS’È L’ATTACCAMENTO

L’attaccamento è un genere di desiderio che provoca sempre sofferenza. Esso ha origine dentro di noi quando ci aggrappiamo a un’immagine nella nostra mente che ci provoca un senso di separazione e mancanza e ci fa sentire insoddisfatti. L’attaccamento ha due aspetti diversi: interiormente si attacca a una nozione di sé (e alle sensazioni emotive di quel sé) che vuole essere compiaciuto, riconosciuto, amato, rispettato, protetto e importante. Esteriormente si attacca a un’altra persona. Quando il nostro sé si sente limitato e mancante, trova conforto nell’altro e allora cominciano i guai.

L’attaccamento avviene sempre nel presente, ma è il risultato di tutti i piaceri e i dispiaceri che abbiamo patito nelle nostre vite. La nostra mente, negli anni, impara a tendere ossessiva verso qualsiasi sensazione che le provoca piacere e a fuggire da quelle che le provocano dispiacere. Purtroppo questo moto continuo non ha alcuna utilità. Agiamo spinti dall’impulso di porre fine alla nostra sofferenza e ottenere maggiore gratificazione. Lo facciamo in molti modi diversi e tutti hanno in comune la disperata ricerca di mettere a tacere il vuoto che sentiamo dentro. Allora potremmo strafogarci di cibo, sesso, sport, letture o qualsiasi altro tipo di iperstimolazione atta a farci per un attimo sentire meno soli.

Quando una relazione si basa sull’attaccamento, noi non vediamo la persona che abbiamo davanti (e nemmeno quella che ci ha lasciati facendoci patire le pene dell’inferno) ma un’immagine che è frutto della nostra immaginazione. Così tenderemo a idealizzarla, oppure a demonizzarla. Se vi associamo sensazioni di piacere sorgerà in noi un tipo di felicità condizionata, che ci farà sentire importanti, amati, protetti e desiderati andando a lenire il nostro senso di indegnità. La persona darà un sollievo temporaneo alle brame che ci assediano dall’infanzia senza tuttavia riuscire a placare la sofferenza che abbiamo dentro perché in realtà essa non potrà mai essere risolta rivolgendo l’attenzione all’esterno.

mindfulness milano

Il Buddha individuò tre brame principali:

–          La brama di piacere, ovvero il bisogno di avere stimoli gratificanti dagli altri

–          La brama di esistere, ovvero il bisogno di una relazione che mi faccia sentire importante/visto

–          La brama di non esistere, ovvero il bisogno di sottrarsi alle relazioni per paura di un rifiuto

Quando queste tre brame non vengono soddisfatte, ha origine l’avversione. La rabbia rappresenta dunque l’altra faccia dell’attaccamento.

LA BRAMA DI PIACERE

Il meccanismo che regola questo tipo di desiderio è il correre verso tutto ciò che è piacevole e fuggire da tutto ciò che è spiacevole. Esiste anche un piacere di tipo altruistico, ma quando parliamo di attaccamento, il piacere è sempre di matrice egoistica, nasce da un bisogno di soddisfare un nostro bisogno e non dal bisogno di dare piacere all’altro.

Il piacere ci fa sentire eccitati, vivi, spumeggianti e ci distoglie così dalla sofferenza di tutti i bisogni insoddisfatti che ci portiamo dietro. Più in profondità, ci distoglie da una paura sostanziale: quella del vuoto, della morte. Puoi provare tu stesso in questo momento a domandarti: quando chiamo i miei amici lo faccio perché ho bisogno di essere stimolato, di non sentirmi solo, di parlare con qualcuno, di avere qualche conferma? Con il mio partner che relazione ho? Tendo ad aggrapparmi a lui/lei limitando la sua libertà? Tendo a controllarlo? Sono geloso? Tendo a fare indigestione di cibo, lavoro, sport o altri stimoli esterni? Se la risposta è sì, significa che la relazione ha un problema. Non stiamo vedendo la persona con cui viviamo (o gli amici che chiamiamo) ma il nutrimento che questa ci può dare. La conseguenza è che non potremo essere presenti alla relazione perché non siamo in grado di vedere i bisogni dell’altro. Ma soprattutto: come possiamo creare una vera intimità tra di noi quando ci ostiniamo a vedere solo una piccola parte dell’altro e non la sua vera natura? Tenderemo a sclerotizzarlo in un’immagine fissa, finendo con l’idealizzarlo, oppure demonizzarlo, mentre in ognuno di noi è presente il bene e il male in egual misura.

Questo tipo di brama che ci spinge verso il piacere e ci fa evitare il dolore è alla base della nostra sofferenza e non potrà mai essere placata orientandosi verso stimoli, persone o altri oggetti esterni.

LA BRAMA DI esistere

Questo tipo di brama ha origini molto antiche. Noi umani siamo gli unici mammiferi che nascono senza essere indipendenti. Per almeno nove mesi abbiamo bisogno delle cure di un altro essere umano per poter sopravvivere. Abbiamo bisogno di nostra madre che ci allatti, ci culli e ci trasmetta il calore e l’amore necessari a farci sentire protetti. Impariamo molto presto a distinguere tra ciò che è piacevole e ciò che non lo è, ma soprattutto, impariamo ad associare l’attenzione che riceviamo alla nostra possibilità di sopravvivere oppure no. La paura che sottende questa brama è quella di non essere visti e cioè di morire. Sì, perché se nostra madre non ci vede non può occuparsi di noi e mantenerci in vita. È il tipico grido del bambino che salta per il cortile gridando: “Mamma guardami! Guardami! Guardami!”. In quel guardami è rinchiusa tutta la nostra paura della morte. L’associazione mentale che rimane impressa a fuoco è questa: se gli altri non mi vedono, se resto invisibile, allora io non esisto.

mindfulness milano

Da adulti questo tipo di brama assume sfumature più sottili. Essere visti significa avere un lavoro bello, una macchina di lusso, vestiti, gioielli, una famiglia da esibire, il successo ecc… Nella mente dell’adulto l’equazione è ancora viva: esisto solo se vengo visto e cioè lodato per quello che faccio. La paura di subire delle critiche o il biasimo altrui spinge a ricercare un ideale di perfezione che ci tiene in costante tensione (anche nell’infanzia si può trasformare nella sindrome del bravo bambino). Questa brama crea tensione anche qualora venga soddisfatta perché da desiderio, nasce desiderio più grande. Tutto il successo del mondo non basterà a colmare le lacune che abbiamo dentro perché il successo, il riconoscimento altrui, non è amore. Finiremo allora con il perseguire in modo ossessivo questo bisogno di essere visti, mettendoci in mostra, esagerando ciò che raccontiamo, esibendoci di continuo, ma la domanda che brucia sotto tutto questo è: continuerò a essere visto domani? E dopodomani? La paura di diventare invisibili è sempre in agguato.

Ogni attività o relazione iniziata con questo tipo di attaccamento al riconoscimento poggia su fondamenta molto instabili.

Nelle relazioni può succedere che ci fissiamo su una determinata fonte di attenzione e non ricevendola ci perdiamo e resistiamo a tutto l’amore che ci viene offerto in modo diverso.

La tipologia di mente che genera questo attaccamento è una mente ossessiva.

la brama di non esistere

Tutti noi oscilliamo da una all’altra di queste tre brame ma in generale accade che quando le cose vanno bene siamo nella brama di esistere, mentre quando vanno male vogliamo fuggire, evadere e non essere visti.

La brama di non esistere è la paura di esporsi che può avere tante sfumature diverse: dalla comune paura di parlare in pubblico, al bisogno di isolamento sociale, al suicidio. La paura di essere rifiutati ci allontana dagli altri e dall’intimità in generale. Quando subiamo questo tipo di brama spesso entriamo in quella che Tara Brach definisce la “trance dell’inadeguatezza”, cioè il pensiero di essere indegni di amore e attenzione e di qui il desiderio di non essere visti. La paura del rifiuto è così forte che ci ritraiamo dal dare e ricevere amore. Imbarazzo, vergogna, mancanza di fiducia sono solo alcune delle emozioni associate a questa brama.

Quando siamo vittima di questa brama, cerchiamo sollievo nell’evasione. Le fughe possono trasformarsi in dipendenze. Alcune di queste le conosciamo bene, come l’alcool, le droghe, il gioco, il sesso, ma altre possono assumere forme molto più sofisticate e subdole: si tratta ad esempio delle fughe dalla realtà nel nome di cammini spirituali che ci fanno sentire forti ed evoluti ma in realtà nascondono vuoti e sofferenze ben diversi.

Quando evadiamo non siamo presenti per gli altri, non siamo capaci di dare e ricevere amore.

La tipologia di mente che genera questa brama è depressiva.

5 SPUNTI PER LAVORARE SULL’ATTACCAMENTO

1.       Il vero cambiamento può avvenire solo riferendoci alla brama sottostante, che va riconosciuta e vista, perché rappresenta il motore che muove ogni cosa. Una volta che la vediamo possiamo domandarci: è proprio necessario che sia così?

2.       Dobbiamo prendere coscienza che la felicità non deriva mai dall’ottenere qualcosa o qualcuno ma da togliere e lasciare andare la tensione della brama stessa.

3.       Il cammino di cessazione della sofferenza nata dalla brama è sempre graduale e progressivo. Non possiamo sperare di trasformare un’attitudine mentale che abbiamo costruito e mantenuto per anni in un istante. Ciò che possiamo fare è portare la nostra consapevolezza a trasformare progressivamente la nostra mente-cuore insegnandole il movimento di apertura. Ogni volta in cui lasciamo andare, guadagniamo un momento di libertà che condiziona quello successivo. Ampliando questi piccoli segmenti di libertà arriveremo a renderla stabile e duratura nel tempo. A volte poi la nostra mente ci sorprenderà con rilasci improvvisi e cambiamenti anche significativi. Queste benedizioni rappresentano i frutti della consapevolezza su cui abbiamo lavorato.

4.       È necessario coltivare la chiara consapevolezza, la compassione, l’attenzione saggia e l’intuizione.

5.       Possiamo domandarci: com’è trovare gioia nell’agio anziché nella stimolazione?

conclusioni

Queste tre brame non esistono isolate le une dalle altre e neppure isolate dalle brame personali e fisiche. Quando c’è questo tipo di brama, anche il fisico ne risente. Pensiamo ad esempio alla connessione tra solitudine e cibo. A volte si alternano molto velocemente tra di loro, altre permangono più a lungo, altre ancora si manifestano in modo diverso nei vari ambiti della vita. Dominano le nostre vite condizionate e ci rendono autocentrati, autoassorbiti ed egocentrici. Diventiamo incapaci di essere disponibili per gli altri, di dare e ricevere amore. Alla base c’è un senso di indegnità e il risultato è l’isolamento, molto diverso dalla solitudine che invece è una condizione positiva e feconda. Quando queste brame sono attive, siamo dominati dall’ego che oscura la nostra vera natura. La chiave per uscire da questa sofferenza è nelle nostre mani, nessun altro potrà aiutarci se non noi stessi. Ciò che possiamo fare è rientrare in contatto con la nostra natura gioiosa e compassionevole, irradiando gentilezza verso i nostri limiti e fragilità.

Bibliografia:

Gregory Kramer, Mindfulness relazionale, insight dialogue, meditazione e libertà, Bollati Boringhieri , 2016

Tara Brach, Radical Acceptance. Il potere straordinario dell’accettazione totale. Elimina paure, insicurezze e sensi di colpa, BIS, 2014

GRAZIE

GRAZIE PER LA TUA CONDIVISIONE

Grazie per aver letto con attenzione questo articolo fino a qui, se ti è stato utile, o ti ha illuminato in qualche modo, aiutami a diffonderlo condividendolo con altre persone.
Se quello che leggi in questi articoli ti risuona, puoi seguire @ilcuoresaggio su instagram e facebook.

Buona pratica!