DISCIPLINA ETICA E SERENITÀ

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DISCIPLINa ETICa e SERENITÀ

Essere felici è sicuramente il desiderio più condiviso dall’umanità. Ognuno di noi va alla ricerca di questo sacro Graal a modo suo. C’è chi sposa un credo, chi una causa, chi un’emozione, chi un cammino spirituale, chi una filosofia, chi i possedimenti materiali. Non c’è un cammino migliore di un altro perché siamo tutti diversi e ciò che va bene per una persona può non andare bene per un’altra. La realizzazione della felicità, però, qualsiasi sia il cammino scelto per raggiungerla, non può prescindere dal condurre una vita che si basi sull’onestà, sulla verità e sulla non violenza. Senza etica non ci può essere serenità.

MEDITAZIONE VERSUS VITA

A volte, quando cominciamo un cammino spirituale, veniamo attratti dall’aura esotica e un po’ bizzarra di alcune pratiche come lo yoga e la meditazione e ci buttiamo a capofitto convinti in buona fede che elimineremo la sofferenza dalla nostra vita e troveremo una felicità costante e duratura.

In realtà lo yoga e la meditazione non sono che una delle molteplici parti del cammino, perché in realtà il cammino è ogni respiro che facciamo. Non esiste alcuna separazione tra la pratica formale e la nostra vita e finché non capiremo questo punto fondamentale, non riusciremo mai a connetterci a quella serenità cui tanto aspiriamo. Anzi, vi dirò di più: non esiste nulla di esotico in tutto ciò! Il cammino spirituale è una scelta dura, faticosa, lenta. Non esiste alcuna bacchetta magica in grado di modificare la nostra vita, perché per modificare la nostra vita, dobbiamo in realtà modificare noi stessi e questa azione non è semplice come sembra. Detto questo, il cammino spirituale è anche una scelta meravigliosa, la migliore che si possa scegliere in un milione di vite, nonché l’unica in grado di condurci al di fuori dalla sofferenza in modo duraturo.

Con il termine spirituale non mi sto riferendo ad alcun credo religioso. La religione vive nei templi e nelle menti delle persone. La spiritualità vive nel nostro respiro ed è quel palpito di gioia che in alcuni momenti di grazia ci fa sentire connessi con il tutto. E a questo tutto non do di proposito alcuna accezione. Intendetelo come volete voi: Dio, Dea, energia cosmica, madre natura, coscienza, universo…

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Perché è una scelta difficoltosa? Perché riguarda l’intera nostra esistenza, non solo il singolo momento in cui ci sediamo a praticare. Ma prima ancora di questo, perché quando cominciamo ci viene posta un’unica richiesta: “comincia solo se non sei minimamente interessato al risultato che otterrai.” Questa è l’essenza pura di qualsiasi cammino spirituale: nessun attaccamento al risultato. Questo non significa avere una fede cieca in ciò che gli altri ci propinano e non domandarsi se le cose funzionano per noi, bensì mettere in pratica gli insegnamenti ma lasciare andare ogni pulsione di controllo, essere aperti a ciò che ne deriverà così come a ciò che non ne deriverà. Se non cominciamo con questa attitudine, prima o poi incapperemo nell’avversione, brama, fastidio, noia, frustrazione… E non staremo realmente mettendo in pratica l’insegnamento cardine su cui tutto si basa: accetta qualsiasi cosa si presenti nella tua vita, senza desiderio di allontanarla, o di avvicinarla.

Il cammino spirituale è il campo smisurato delle mille opportunità che la vita ci offre. In poche parole: siamo già in cammino e qualsiasi cosa facciamo (di giorno e di notte) fa parte di questo percorso. La pratica formale non è scissa dalla vita reale. Se siamo in cammino verso la felicità, oltre a praticare nei templi, sul tappetino, in natura, dovremo attenerci a un comportamento etico. Patañjali ne parla nei suoi yoga sutra, definendo queste norme yama e niyama.

 LA SERENITÀ HA ORIGINE NELLA MENTE

Della vita di Patañjali non si sa quasi nulla, se non che probabilmente è il compilatore degli Yoga Sūtra, testo fondamentale dello Yoga darśana, che contiene riferimenti alle scuole del Grande Veicolo del Buddhismo. Il suo insegnamento, contenuto nei 196 aforismi (sūtra), spiega come arrivare, con il controllo di sé e la padronanza della mente e della sua attività (vritti), all’intima unione con la Divinità interiore e realizzare così il samadhī (beatitudine).

Negli yoga sūtra, Patañjali parla di 8 fattori, o scalini, che ci permettono di uscire dalla sofferenza. In questo articolo ti parlerò del primo fattore, yama, che possiamo anche definire come etica universale, o astensioni.

Patañjali riteneva che i responsabili della nostra sofferenza non fossero gli eventi esterni ma i difetti mentali di cui siamo prigionieri. Lo yoga oggi è conosciuto soprattutto dal punto di vista fisico, come un processo di purificazione che avviene a livello di posizioni (asana) e Prāṇāyāma. In realtà per Patañjali il discorso di purificazione riguardava solo la mente, è stato solo con il passare dei secoli che si è giunti a prendere in considerazione anche il corpo. Insomma, agli esordi, lo yoga non riguardava alcun asana, o postura se non la posizione del loto, posizione da cui tutti gli yogin potevano avere accesso a un percorso di conoscenza interiore che li avrebbe portati a liberarsi dagli inquinanti mentali:

1.       Ignoranza (cioè non sapere chi siamo, non conoscere la nostra vera natura. Difetto che ci porta a identificarci continuamente con la nostra psiche e la nostra mente generando a cascata tutti gli altri veleni.)

2.       Desiderio

3.       Avversione

4.       Senso dell’io

5.       Paura

Praticando lo yoga possiamo purificarci da questi veleni e lasciare andare tutte le zavorre che ci rendono infelici.

Corso base di meditazione per riduzione dello stress

Anche il Buddha era della stessa idea (in realtà sarebbe più corretto dire che Patañjali era della stessa idea del Buddha) e riteneva che l’ignoranza fosse il veleno fondamentale alla base di qualsiasi tipo di difetto mentale. Il Buddha disse che se vogliamo davvero porre fine al ciclo di sofferenza (cioè di morte e rinascita) dobbiamo andare a fondo nella conoscenza di noi stessi e capire chi siamo veramente. Per fare questo dobbiamo sviluppare la visione profonda, o insight, cioè quella saggezza che ci permette di entrare nel cuore delle cose e comprenderne la vera natura. Ma prima ancora di sederci e osservare tutto questo in meditazione, dobbiamo comprendere come ci stiamo relazionando al mondo. Se non rivediamo i nostri comportamenti nella vita di tutti i giorni, la nostra pratica non avrà una solida base su cui poggiare. Se viviamo al di fuori dell’etica, non potremo realizzare alcun raggiungimento spirituale.

Ecco perché gli yama di Patañjali e i precetti buddhisti sono così importanti quando intraprendiamo un cammino spirituale.

gli yama

Il primo gradino degli yoga sūtra, riguarda gli yama, o astensioni, cioè l’etica.
Due fatti mi hanno molto colpito rispetto a questo primo gradino:

1.       Non riguarda qualche strana posizione, tecnica o pratica di meditazione ma la vita stessa

A questo proposito vi narro una storia. Un giorno una madre portò suo figlio da Ghandi per chiedergli di dire al bambino di non mangiare più zucchero. Ghandi annuì e chiese loro di tornare la settimana successiva. Quando la madre si presentò di nuovo, Ghandi disse al bambino: «Non mangiare più zucchero.» E la madre: «Non poteva dirglielo settimana scorsa evitando di farmi tornare qui?» «No signora… Settimana scorsa mangiavo anch’io lo zucchero.». La coerenza tra la pratica e la vita (o ciò che diciamo, pensiamo, insegniamo) è fondamentale.

 

2.       Non riguarda qualcosa che dobbiamo raggiungere o ottenere, ma qualcosa che dobbiamo togliere dalle nostre vite

Patañjali non ha dato informazioni di fare qualcosa per ottenere la pace, ma di togliere i difetti mentali che ci impediscono di dimorare in quello stato di quiete.

Vediamo i cinque yama nel dettaglio:

1.       Ahiṃsā la non violenza:
La non violenza non riguarda solo il non commettere omicidio, concetto spero remoto per i più, ma anche il non essere violenti verbalmente, mentalmente e psicologicamente con noi stessi e gli altri. A volte le parole feriscono più di mille ferite e così i giudizi, le critiche castranti. Siamo violenti anche quando ci spingiamo oltre i nostri limiti senza nemmeno ascoltare i nostri bisogni più profondi. O quando non rispettiamo le altre forme viventi solo perché sono più piccole e meno intelligenti di noi, come gli animali, gli insetti e qualsiasi altro essere. Praticare la non violenza significa rispettare la vita in tutte le sue forme e prendersene cura. Cibarsi di animali allevati e uccisi in modo violento significa uscire da quest’ottica di non violenza.

Ahiṃsā ci impone di entrare in un’ottica di consumo consapevole (di cibo, parole, stimoli ecc…) e lasciare andare tutto ciò che non rispetta la vita.

2.       Satya la veridicità:

A livello più generale questo yama riguarda la necessità di non mentire, ma più sottilmente si riferisce all’essere onesti con noi stessi e con gli altri. Significa essere coerenti e non pretendere di essere ciò che non siamo. Dire insomma solo ciò che abbiamo sperimentato e conosciamo e dirlo in modo sincero e aperto.

3.       Asteya l’astensione dal furto, l’onestà

Questo è di facile comprensione: non prendere ciò che non ci è dato ed essere onesti e integri con tutti.

4.       Brahmacarya il celibato

Un tempo, tra gli yogin e chi percorreva il cammino spirituale, la castità era data per scontata perché rappresentava un aspetto fondamentale della rinuncia e del lasciare andare la brama. Oggi questo concetto può essere integrato anche con un’idea di sessualità corretta e rispettosa, quindi non commettere adulterio, non sedurre, non avere atteggiamenti sessuali scorretti. La sfera sessuale è un terreno fertile per reazioni emotive forti e molto rapide, quindi occorre conoscersi e osservarsi molto per non cadere nella trappola dei sensi.

5.       Aparigraha la rinuncia al possesso

Anticamente veniva praticata in modo estremo e significava essere poveri, non possedere nulla. Oggi può essere inteso come lasciare andare il bisogno di accumulare. Più cose possediamo, più grandi sono i nostri problemi e viceversa.

Tutte queste astensioni riguardano l’intera nostra vita e non possono essere praticate a intermittenza. Significa quindi che dobbiamo praticare la consapevolezza in modo continuativo per renderci conto del punto in cui ci troviamo e di cosa dobbiamo lasciare andare.

In ambito buddhista esistono molti aspetti comuni a queste cinque astensioni. Il Buddha ha insistito molto su sila, l’etica e l’ha divisa in tre filoni principali:

1.       Retta parola

2.       Retta azione

3.       Retti mezzi di sussistenza

La retta parola non riguarda solo l’essere sinceri, ma anche l’astenersi dalla maldicenza, da tutte le parole che feriscono e causano divisione. Astenersi anche dal pettegolezzo e dal parlare futile, perché questa parola offusca la mente e ha esiti negativi. Il consiglio che dava ai suoi monaci era questo: parla solo quando hai qualcosa da dire, quando usi parole gentili e quando ciò che devi dire può aiutare gli altri.

La retta azione si riferisce a una condotta pacifica e gentile, quindi si basa sulla non violenza, sul non rubare e non avere comportamenti sessuali scorretti. Promuove la vita in ogni sua parte.

I retti mezzi di sussistenza riguardano il lavoro con cui ci guadagniamo da vivere e l’indicazione è quella di evitare lavori che rechino dolore a esseri viventi o all’ambiente. Tra le professioni proibite c’è la prostituzione e la schiavitù, la produzione di intossicanti, alcol, fumo e droghe, i lavori in cui c’è sfruttamento e uccisione di animali. È necessario vivere e guadagnarsi da vivere in modo onesto, producendo armonia e non danno al mondo e alle sue specie.

perché praticare gli yama?

Tutte queste astensioni non hanno nulla a che vedere con l’ottica cristiana del peccato. Non c’è nessun Dio esterno che ci punirà se non le rispettiamo. La punizione sarà interiore e si manifesterà come un’infelicità generalizzata, un’incapacità di vivere armoniosamente la vita. Praticare gli yama serve a noi per essere più felici e di riflesso agli altri, perché la nostra felicità farà la loro. Più pratichiamo la non violenza e più coltiveremo la pace dentro di noi, aumentando la nostra possibilità di dimorare nella serenità in modo costante e duraturo.

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Buona pratica!

Bibliografia

Insegnamenti tratti dalla lezione di Marco Passavanti del 30 maggio 2020