TRASFORMARE LA SOFFERENZA PROFONDA IN PACE PROFONDA
In questo articolo ti spiego perché, quando provi un’emozione afflittiva, non serve a niente che tu la combatta, la eviti, o che ti ci soffermi fino a trasformarla in un pensiero ossessivo. Tutte queste re-azioni contribuiscono solo a creare ancora più sofferenza e a rafforzare l’emozione che stai provando (qualunque essa sia).
LE EMOZIONI QUESTE SCONOSCIUTE
Sapete cosa rende le emozioni così forti? La loro invisibilità! È molto difficile infatti che riusciamo a vedere l’emozione in sé stessa. Molto più probabile che ci soffermiamo sulla storia che ha generato quell’emozione. Vi faccio un esempio semplice: se vi innamorate di una persona, vedrete solo quella persona e tutto ciò che fa e dice, ma non vedrete l’emozione amore che la rende così speciale. Ciò che crea sofferenza non è affatto l’emozione in sé, che come ogni altra cosa è passeggera, ma la storia che ci raccontiamo quando stiamo provando quella determinata emozione.
Quando a quello che stiamo provando uniamo una storia, ci stiamo allontanando dalla possibilità di dissolvere quell’emozione e lasciarla andare. Immaginate di combattere contro qualcuno che si è nascosto sotto al mantello dell’invisibilità di Harry Potter: menereste fendenti a destra e a sinistra, accanendovi contro altre persone, o cose, o situazioni, senza tuttavia riuscire mai a debellare il vostro vero nemico e aggiungendo alla vostra pena ulteriore inutile sofferenza (per tutto il male che state causando a voi e agli altri).
Thich Nhat Hanh insegna che le emozioni sono semplice energia e come qualsiasi altro tipo di energia sono impermanenti. Esse hanno luogo nel presente, ma restano aggrappate a noi molto a lungo se lasciamo che a gestire la nostra vita sia una mente non osservata. L’emozione è un velo impalpabile, una nuvola passeggera su un cielo sereno, ma quando si unisce a una storia mentale diventa una tempesta capace di oscurare l’intero universo. Allora l’emozione viene percepita come una sofferenza senza fine, come una condizione da cui non riusciremo mai a uscire.
Eckhart Tolle dice: “L’intensità del dolore dipende dal grado di resistenza al momento presente, e questo a sua volta dipende dalla forza con cui vi identificate con la vostra mente.”. Più ci identifichiamo con la nostra mente e più soffriamo. La chiave è molto semplice e sta nel rompere questa identificazione, ritornando nell’adesso. Secondo Tolle, la mente è solita negare l’adesso perché non può restare dominante e forte senza il passato e il futuro. Nell’adesso essa si spegne, è costretta a fare silenzio e questo la angoscia, la fa sentire minacciata.
Non sto dicendo che dobbiamo sempre vivere solo nell’adesso. A volte abbiamo bisogno di programmare il nostro futuro, oppure di imparare dal nostro passato, ma c’è una differenza tra scegliere consapevolmente questo slittamento temporale necessario e benefico e farlo invece inconsapevolmente, lasciandoci dominare dalla nostra mente. La mente, infatti, per mantenere il controllo su di noi cerca in continuazione di oscurare il momento presente. L’unica via a nostra disposizione per smettere di soffrire è restare ancorati al presente, dove le emozioni, per quanto intense, sono visibili e quindi gestibili.
TRE METODI A CONFRONTO:
Vorrei presentarvi tre modelli diversi che hanno un unico fine: lasciare andare l’emozione afflittiva. Si assomigliano molto e partono tutti e tre dal presupposto di cui vi ho parlato: l’emozione è potente perché invisibile ai nostri occhi.
Il primo è il modello spiegato da Eckhart Tolle, che può essere riassunto in un’unica parola: abbandono. “Abbandonatevi a ciò che esiste. Dite sì alla vita e vedrete come la vita all’improvviso comincerà a lavorare per voi anziché contro di voi.”.
Stare nel presente e accettarlo in tutte le sue sfaccettature ci permette di lasciare andare qualsiasi carico emotivo. Il metodo è quello di fermarsi a osservare la meccanica usata dalla nostra mente, che continua a etichettare tutto ciò che accade, giudicando ogni cosa e creando così dolore e sofferenza. Quando osserviamo questo suo meccanismo, lo interrompiamo e possiamo tornare a vedere cosa effettivamente ci sta davanti. Questo ci permette di agire, se necessario. Qualunque sia il nostro presente, la chiave è accettarlo come se lo avessimo scelto noi.
Eckhart Tolle introduce anche un concetto molto interessante, che è quello del corpo di dolore. Spiega che qualsiasi emozione non vista e non accettata si lascia dietro un residuo che continua a vivere dentro di noi e che si risveglia in presenza di determinate circostanze. Quando si risveglia, di solito ha fame e potendo nutrirsi solo di altro dolore fa in modo di creare nella nostra vita una situazione che rifletta la sua frequenza energetica in modo da potersene nitrire. Gioia e amore sono infatti per lui indigesti!
Ciò che accade, dunque, è che quando il corpo di dolore si impadronisce di noi, necessitiamo di altro dolore e andiamo a cercarlo, trasformandoci in vittime, carnefici, o entrambi. La sua sopravvivenza è legata dall’identificazione inconsapevole che stringiamo con lui e dalla nostra incapacità di affrontare il dolore che vive già in noi.
Il mezzo che abbiamo per interrompere questa identificazione è quello di osservarla direttamente e vederla per ciò che è. Diventiamo così testimoni del corpo di dolore e gli togliamo la possibilità di nutrirsi attraverso di noi. San Paolo ha reso molto bene questo concetto: “Ogni cosa si rivela con l’esposizione alla luce, e tutto ciò che è esposto alla luce diventa a sua volta luce.”.
Jack Kornfield invece presenta il metodo R.A.I.N. come base per il riconoscimento e la trasformazione delle emozioni.
R. come riconoscimento: il primo passo è quello di riconoscere l’emozione che stiamo vivendo, dandole la possibilità di esistere. È come se ci chiedessimo “Che cosa succede?” e ci sforzassimo di trovare una risposta piuttosto che tirar dritto con un “Niente!” tra i denti. La negazione mina la nostra libertà. Se un diabetico nega la sua malattia, non è libero e non può esserlo un manager stressato che non riconosce quanto sia nocivo il suo stile di vita. Il riconoscere ciò che stiamo provando ci permette di uscire dal velo dell’ignoranza e tendere verso la libertà perché vedendo il nostro nemico riconquistiamo il potere di liberarcene.
A. come accettazione: quando riconosciamo l’emozione potrebbe sorgere avversione, fastidio, resistenza. L’accettazione diventa dunque fondamentale perché ci permette di rilassarci fino ad aprirci a quel che c’è, qualunque cosa sia. L’accettazione non è mai passiva e non significa lasciare che tutto rimanga com’è, bensì accettare che in questo momento la situazione è questa. I Buddisti zen sintetizzano questo concetto in questa frase: “Se capisci, le cose sono proprio come sono; se non capisci, le cose sono comunque come sono.”.
I. come investigazione: rispetto al riconoscimento è un passo in più in profondità. A volte infatti riconoscere e basta un’emozione non è sufficiente e noi restiamo bloccati senza riuscire a proseguire oltre. Allora deve intervenire un’investigazione di tipo profondo che riguardi i quattro fondamenti della consapevolezza:
1. corpo: identifichiamo una o più zone del nostro corpo in cui quell’emozione si condensa (magari ci brucia lo stomaco, o abbiamo le spalle contratte…).
2. sensazioni: che sensazioni fisiche proviamo in quelle zone del corpo? Sono piacevoli, spiacevoli, o neutre? Ci sono sensazioni secondarie? Sono fisse o in continuo mutamento?
3. mente: che pensieri e che immagini associamo a questa emozione? Notiamo tutte le storie, i giudizi, le convinzioni che ci abbiamo costruito sopra.
4. percezione: l’esperienza che stiamo vivendo è solida? È immutabile o in cambiamento? È controllata da noi, o ci domina? Ci porta sofferenza o felicità?
N. come non identificazione: l’ultimo punto è quello che smantella totalmente la presa dell’emozione su di noi e ci restituisce il potere di scegliere e quindi la libertà. La domanda che possiamo farci è: “È questo che sono realmente?” per renderci conto della realtà provvisoria dell’identità che stiamo vivendo in quel momento. A questo punto, siamo veramente liberi di lasciar andare e di dimorare in pace nella consapevolezza, che tutto illumina indistintamente.
Il terzo modello che ti presento è quello descritto da Thich Nhat Hahn, per cui il primo passo da fare è quello di prendersi cura del bambino che piange dentro di noi. Quindi, nella situazione di emergenza, la prima cosa che possiamo fare è quella di prenderci cura del nostro bisogno immediato.
Solo una volta che abbiamo accudito il nostro dolore, possiamo cominciare a osservarne più a fondo la natura e le cause. La comprensione infatti allevia il dolore e ci aiuta a trasformarlo in compassione. Grazie alla presenza mentale possiamo comprendere il nostro dolore e quello di tutta l’umanità e questo ci permette di entrare in contatto con gli altri e di sentirci meno soli.
Thich Nhat Hahn consiglia prima di tutto di rallentare e poi di fermarsi. Abbiamo bisogno di fermarci per poter percepire sfumature profonde che altrimenti sarebbero invisibili agli occhi. Consiglia di usare il respiro per calmare la nostra mente e trovare un distacco dall’emozione che stiamo vivendo, per tornare al presente.
Per descrivere lo stato in cui ci troviamo, usa una metafora molto semplice e potente: la nostra mente è come un campo in cui possiamo scegliere che fiori innaffiare e quali lasciare morire. La scelta è sempre solo nostra e non dipende dagli altri, o dalle circostanze esterne. In ogni momento possiamo scegliere di lasciar morire il nostro rancore, indipendentemente da ciò che gli altri ci hanno fatto, perché se il rancore si è creato in noi è solo una nostra responsabilità: significa che il rancore esisteva già come semino nella nostra mente.
Il consiglio è quindi quello di innaffiare e prendersi cura dei semini che desideriamo portare nella nostra vita e di focalizzare la nostra mente sulle qualità del cuore che vogliamo sviluppare. Ciò non significa evitare il dolore che stiamo vivendo e non ha nulla a che fare con il pensiero positivo new age, perché questo processo avviene solo dopo aver riconosciuto il dolore, averlo investigato, accolto e lasciato andare attraverso pratiche di consapevolezza e di visione profonda. Allora, una volta che la nostra mente sarà stata ripulita, potremo focalizzarci sulle emozioni positive e tenerla a esse ancorata perché possa tendere sempre di più verso il positivo.
Spero che questo articolo ti sia stato utile e ti ringrazio per l’attenzione che hai voluto dedicargli. Buona pratica!
Bibliografia:
Eckhart Tolle, Il potere di adesso, una guida all’illuminazione spirituale, Armenia, 1999
Eckhart Tolle, Un nuovo mondo, Oscar Mondadori, 2010
Thich Nhat Hahn, Trasformare la sofferenza, Terra Nuova edizioni, 2015
Jack Kornfield, Il cuore saggio, Corbaccio, 2014
GRAZIE
GRAZIE PER LA TUA CONDIVISIONE
Grazie per aver letto con attenzione questo articolo fino a qui, se ti è stato utile, o ti ha illuminato in qualche modo, aiutami a diffonderlo condividendolo con altre persone.
Se quello che leggi in questi articoli ti risuona, puoi seguire @ilcuoresaggio su instagram e facebook.
Buona pratica!