GUARIRE ATTRAVERSO LA COMPASSIONE
Più mi guardo dentro e attorno e più sento che abbiamo tutti bisogno di più compassione, di prenderci con gentilezza, di essere dolci con le nostre difficoltà come fossero piccoli bambini impauriti. Non è di forza e nemmeno di perfezione che abbiamo bisogno, ma di gentilezza e ascolto, perché le nostre paure possano trasformarsi in saggezza e le nostre sofferenze in occasione di evolvere.
COS’È LA COMPASSIONE
La compassione è la nostra natura più profonda e sorge spontaneamente quando vediamo che gli altri soffrono tanto quanto noi. Alan Wallace, maestro di buddismo e autore del libro I quattro incommensurabili, descrive questa qualità con una storia: “Immaginate di camminare su un marciapiede con diverse borse della spesa in mano, quando qualcuno vi urta in malo modo. Cadete e tutta la vostra roba si riversa a terra. Rialzandovi dalla pozzanghera di uova rotte e pomodori schiacciati state per gridare: «Brutto imbecille, guarda cosa hai fatto!» quando vi accorgete che l’uomo che vi è venuto addosso è cieco. Anche lui è tutto pieno di roba da mangiare e la rabbia vi passa all’istante, sostituita dal desiderio di aiutarlo ed essere solidale.”.
Per sviluppare compassione bisogna essere consapevoli del fatto che tutti gli uomini soffrono. Riconoscere la sofferenza, infatti, significa anche desiderare che tutti ne siano liberi. E prima ancora di riconoscere che gli altri soffrono, possiamo guardarci dentro e vedere come noi stessi soffriamo, perché grazie a questa conoscenza profonda il nostro cuore possa aprirsi e guarire.
Scoprire la nostra sofferenza può non essere facile. Spesso la evitiamo, non le diamo ascolto, oppure ci identifichiamo a tal punto da perdere di vista la nostra vera natura. Ricordo ancora la prima volta in cui andai dalla psicologa. Mi sentii molto a disagio e il disagio aumentò quando lei mi chiese: «Perché sei qui?». La guardai angosciata, senza riuscire a pensare a un motivo preciso per cui avessi deciso di rivolgermi a lei. Mi sentii una stupida, anzi, un’ingrata, perché in fondo avevo una vita normale, una famiglia, una casa, una laurea e un lavoro: che cosa poteva mai mancarmi da spingermi ad andare dalla psicologa?
«Non lo so.» Fui costretta ad ammettere. «La mia vita sembra perfetta però non sono felice.». Quella fu la prima volta in cui lo dissi ad alta voce a qualcuno. Perché non sono felice? Mi domandai allora, sentendomi un’ingrata perché c’erano un sacco di bambini che morivano di fame, famiglie distrutte dalla guerra, persone ammalate e io che avevo tutto mi permettevo di non essere felice. Mi ci vollero diversi anni di silenzio e introspezione per riuscire ad avvicinarmi al nucleo fragile e delicato che mi portavo dentro, a tutte le sofferenze che avevo patito durante la mia infanzia e che avevo nascosto sotto a spessi strati di “Va tutto bene”. E fu solo quando potei finalmente riconoscere e vedere la mia sofferenza, che riuscii a sviluppare compassione verso me stessa e guarire le mie ferite.
Quando cade il velo dell’ignoranza che maschera la realtà, riusciamo a vedere che siamo tutti connessi, non solo tra di noi, ma anche con il regno animale, quello vegetale e l’intero universo. Dentro ognuno di noi è presente il sole, la pioggia, il vento, la terra, il grano, le stelle, l’aria e questo ci accomuna e unisce tutti. Quando riusciamo a realizzare questa verità, allora ci rendiamo conto che desiderare il nostro bene significa desiderare quello dell’intero pianeta e provare compassione per le nostre difficoltà vuol dire provarla per le difficoltà di tutti gli altri esseri. Questa è la nostra vera natura, qualcosa che non dobbiamo imparare, ma solo far riemergere da strati di dolore, sensi di inferiorità, paure, desiderio di essere amati e sofferenze che tutti abbiamo patito nelle nostre vite.
LA COMPASSIONE GUARISCE LE FERITE PIÙ PROFONDE
Jack Kornfield racconta che nel 1989 partecipò a un incontro internazionale di maestri buddhisti in cui gli insegnanti occidentali portarono il problema del senso di inferiorità, inadeguatezza, critica, vergogna e odio verso di sé che affliggeva la maggior parte degli studenti occidentali. Il Dalai Lama e gli altri maestri orientali, stupefatti, non riuscivano a capire il problema. Al Dalai Lama occorsero diversi minuti di confabulazioni con il traduttore per comprendere l’espressione “odio di sé”, quindi si voltò verso il pubblico e chiese quanti avessero fatto esperienza di questo problema e vide che tutti annuivano. «Ma è un errore!» Disse «Ogni essere è prezioso!».
Per noi occidentali non è così scontato provare amore verso noi stessi. Cresciamo convinti di non essere degni d’amore, pieni di paura e vergogna. Ognuno di noi ha la sua storia intessuta di sofferenze più o meno profonde. A volte il nostro dolore è evidente, altre è nascosto sotto spessi strati di negazione. È solo quando riusciamo a riconoscere questo dolore che riusciamo a ricordare la nostra natura preziosa. Prendendoci cura con compassione del nostro dolore possiamo guarire le nostre ferite più profonde e tornare ad amare noi stessi così come siamo. E solo quando riusciamo a prenderci cura dei nostri dolori possiamo aprirci agli altri.
Per aprirci a noi stessi e agli altri abbiamo bisogno di coraggio. Ci vuole coraggio per riconoscere la propria vulnerabilità e accettare quella degli altri resistendo all’impulso di “sistemarla”. La compassione non ha infatti lo scopo di sistemare il nostro dolore o quello degli altri, ma di essere presente in modo gentile, profondo e non giudicante per permettere a noi stessi e agli altri di vivere fino in fondo quel dolore e quindi riuscire poi a lasciarlo andare. Avere compassione significa fermarsi e accettare che ora le cose sono così, sviluppare empatia e presenza e lasciare a noi stessi e agli altri la possibilità di contattare il nostro nucleo più fragile senza venirne sopraffatti.
La compassione richiede una qualità di ascolto che è quella tipica della meditazione. Sono qui e ti vedo, ti ascolto senza bisogno di giudicarti, di darti dei consigli o di cambiarti. La compassione NON è sacrificio, perché è un movimento spontaneo del cuore (se vi fate male al piede, d’istinto vi medicate e ve ne prendete cura). In questo senso la compassione NON è stupida, non significa fare quello che vogliono gli altri in modo da non farli soffrire. Per essere persone compassionevoli bisogna imparare a dire SÌ ma anche NO. No all’abuso, al razzismo, alla violenza. Questo perché la compassione non è mai unilaterale, ma è un cerchio che tutti comprende, quindi non solo gli altri ma anche noi stessi. Śāntideva dice: “Se la sofferenza di qualcun altro riguardasse solo lui, allora perché la mano proteggerebbe il piede, quando il dolore del piede non appartiene alla mano?”.
MEDITAZIONE SULla compassione
Trova una posizione comoda con la schiena eretta ma non rigida e respira dolcemente, percependo il movimento del tuo respiro e le sensazioni che genera nel tuo corpo. Dimora nella zona del cuore, sentendo il cuore espandersi a ogni inspiro e rilassarsi a ogni espiro. Percepisci la preziosità del tuo cuore, del tuo respiro e di tutto il tuo corpo che ti permettono di vivere.
Ora sposta la tua attenzione su una persona a te cara, a cui vuoi molto bene. Immagina che sia seduta davanti a te e diventa consapevole di tutte le sofferenze e il dolore che ha patito nella sua vita. Senti il tuo cuore aprirsi mentre augura a questa persona ogni bene, nel tentativo di offrirle conforto e condividere con lei il suo dolore. Mentre fai questo, immagina che il tuo corpo sia saturo di luce. Recita quindi queste frasi:
“Possa tu essere libero da sofferenza fisica e mentale, possa tu essere in pace.”
Ripetile più volte visualizzando la luce che dal tuo cuore raggiunge il cuore della persona seduta davanti a te, portandole sollievo. Dopo un po’, volgi la compassione verso te stesso, immaginando il tuo corpo pieno di luce mentre reciti:
“Possa io essere libero da sofferenza fisica e mentale, possa io essere in pace.”
In seguito, puoi aprire questo fascio di luce a tutti gli altri esseri, immaginando di inondarli di compassione mentre reciti:
“Possiate voi tutti essere liberi da sofferenza fisica e mentale, possiate voi tutti essere in pace.”.
Rivolgere la compassione verso tutti gli esseri in generale può essere difficile, quindi possiamo anche solo rivolgerla a persone che conosciamo e aspettare che il cuore si apra prima di spostare l’attenzione su tutti gli esseri. Tradizionalmente si comincia a irradiare compassione verso un amico/a perché è la via più semplice per aprire il cuore. La pratica insegna poi di passare a noi stessi, a una persona che abbiamo incontrato ma non conosciamo, a una persona con cui abbiamo un rapporto difficile e a tutti gli esseri.
Trovi la traccia audio guidata gratuita qui. Fammi sapere se questo articolo ti è stato utile e se hai praticato insieme a me. Buona vita e buona pratica!
Bibliografia:
Jack Kornifield, Il cuore saggio, una guida agli insegnamenti universali della psicologia buddhista, Corbaccio, 2014
Alan Wallace, I quattro incommensurabili, un cuore senza confini, Ubaldini Editore, 2000
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